Cos’hanno in comune sorrisi, nuvole e (con)fini? Nulla, o forse tutto. Eccoti una piccola riflessione di Capodanno, prima di lanciarci con i soliti bilanci di fine anno e con l’altrettanto solita lista dei buoni propositi, che inizieremo a sfoltire dal 2 gennaio.
Siamo arrivati agli sgoccioli di un altro anno. È iniziato il conto alla rovescia che ci porterà alla mezzanotte. Tic tac, tic tac. Calendari da buttare, agende da rinnovare. Attesa, scaramanzia, tempo sospeso. Ma davvero quando dicembre scivola via il mondo va in pausa? Davvero finisce tutto e inizia qualcosa di nuovo?
Verrebbe da dire piuttosto che va avanti come sempre tra follia e indifferenza. Va a rotoli, oggi più che mai.
Chi abbraccia e chi odia, chi fa e chi disfa, chi preserva e chi devasta. Chi spera, chi uccide la speranza… e non solo quella. Chi resta in silenzio e chi grida vendetta.
“Se ti sedessi su una nuvola non vedresti la linea di confine tra una nazione e l’altra, né la linea di divisione tra una fattoria e l’altra. Peccato che tu non possa sedere su una nuvola”
(Khalil Gibran).
Il mio augurio per il nuovo anno è questo. Starsene per un po’ tutti su una nuvola. Tutti ma proprio tutti.
Da lassù vedere, vedere per davvero. Abbandonare pretese e soprusi, dimenticare il pretesto del confine (di cui ti ho parlato nel post L’illusione delle frontiere in un mondo travolgente) e l’idea malsana della fine. Fine di vite, fine di popoli, fine di Stati.
Su quella nuvola riconoscerci e abbracciarci. Tutti ma proprio tutti. Prenderci la mano e tornare insieme ad abitare il mondo, senza più l’ombra di una guerra.
Il mio augurio per il nuovo anno è questo. Che sia un 2024 di pace.